Oramai è molto chiaro che il Sinodo dei
Vescovi sulla famiglia si sta svolgendo in un clima di grande confusione e
ambiguità. Come diversi commentatori hanno notato, l’assise sembra essere stata rigidamente blindata soprattutto perché non trapelasse la grande opposizione alla "linea misericordiosa", il cui esponente di
spicco è il Card. Kasper. Nonostante tale "blindatura", infatti, c'è stato un provvidenziale intoppo nel programmato briefing che doveva spiegare la Relazione dopo la discussione del Card. Erdo.
Il cardinale ungherese, relatore generale al Sinodo, ha additato il vescovo Bruno Forte come artefice dei paragrafi ambigui sugli omosessuali (e sulle altre
proposte Kasper?). Il briefing è stato rigidamente impostato in modo generico e
molto unilaterale. Ma ormai e evidente che l’assise è spaccata, e che sono tanti i restii
a permettere un’ “innovazione pastorale”, che è piuttosto uno stravolgimento
della dottrina.
Ciò che più sorprende è il fatto che il
Sinodo stesso, come ha notato l’arcivescovo Stanisław Gądecki, presidente della Conferenza Episcopale Polacca,
si è emancipato dal concetto di peccato. Non si parla da nessuna parte di
peccato, mentre si cerca di affrontare con tanta bontà e con uno sguardo detto "misericordioso" le situazioni familiari in cui il primo matrimonio è naufragato nel
divorzio, rappresentando al contempo le nuove unioni come normali e addirittura con
elementi intrinseci di bontà. In modo ilare, come in una festa, da queste nuove
convivenze more uxorio si è passati a
vedere la bontà delle unioni tra due uomini o due donne. Certo, la bontà di
alcuni padri sinodali non conosce limiti nell’errore. Ma ci si chiede: che
c’entrano le unioni omosessuali con la famiglia? Sono in qualche modo famiglia
anche loro?
Per la linea Kasper-Forte sì, applicando un
principio (scorretto) della gradualità. Di questo argomento abbiamo già qui dato un accenno ecclesiologico, dimostrandone le premesse erronee, anzi ereticali, ossia la confusione ch'essi fanno tra amore naturale e grazia. Ora entriamo nello specifico.
Cos’è
questa benedetta gradualità?
Si fa un gran parlare ora di questo
principio morale ma, evidentemente secondo l’interpretazione della linea
sinodale della rottura dottrinale, viene interpretato in modo surrettizio, al
fine di poter guardare con occhi di misericordia chi vive in una situazione
disordinata e di peccato. Tale principio, secondo i suoi teorici, permetterebbe di vedere solo il
bene che c’è nel peccato (che non bisogna però dire tale), e così l’approccio
misericordioso avrebbe la meglio sulla dottrina rigida e fissista, quella dei
fondamentalisti della fede, che, al dire di Mons. Forte, "colpisce come una clava". Lui, invece, è morbido e umano...e sa accarezzare il mondo. Sta di fatto che la grande
reazione dei Padri, che si è avuta dopo la Relazione-sintesi della prima
settimana di lunedì 13 ottobre, indica una cosa: la “gradualità” così come
è stata concepita e interpretata nel Sinodo è sbagliata.
Infatti, nella sintesi degli interventi in aula dopo la Relatio post disceptationem fatta dal Card. Erdo leggiamo:
«Necessario è approfondire e chiarire il tema della "dicendo gradualità",
che può essere all’origine di una serie di confusioni. Per quanto riguarda
l’accesso ai sacramenti per i divorziati risposati, ad esempio, è stato detto
che è difficile accogliere delle eccezioni senza che in realtà diventino una
regola comune».
Il tema della gradualità era stato già
affrontato da S. Giovanni Paolo II nell’Esortazione apostolica post-sindodale Familiaris consortio, esortazione di
fatto messa in soffitta in questo Sinodo:
«Anche i coniugi, nell’ambito della loro vita
morale, sono chiamati ad un incessante cammino, sostenuti dal desiderio sincero
e operoso di conoscere sempre meglio i valori che la legge divina custodisce e
promuove, e dalla volontà retta e generosa di incarnarli nelle loro scelte
concrete. Essi, tuttavia, non possono guardare alla legge solo come ad un punto
ideale da raggiungere in futuro, ma debbono considerarla come un comando di
Cristo Signore a superare con impegno le difficoltà. “Perciò la cosiddetta
legge della gradualità, o cammino graduale, non può identificarsi con la
gradualità della legge, come se ci fossero vari gradi e varie forme di
precetto nella legge divina per uomini e situazioni diverse» (FC 34).
La gradualità della legge indica che la legge
stessa sarebbe graduale, quindi che si potrebbe scegliere quello che più
conviene, invece la legge della gradualità o cammino graduale, accezione corretta, esprime
piuttosto l’esigenza di un’opera pedagogica per entrare nel cuore della legge e
per osservarla non solo in modo esteriore, ma con la mente e il cuore: posso
cioè essere educato a capire gradualmente il valore della legge, che in sé
rimane intangibile e comunque la via al bene da perseguire.
L’indissolubilità del matrimonio è un precetto
divino: è l’essenza del matrimonio e ad un tempo la condizione di partenza per
potersi sposare. Ora, si può applicare la gradualità della legge a questo precetto divino, iscritto nella natura dell’uomo e del matrimonio?
Certamente no. Non si può sottoporre l’indissolubilità del matrimonio ad un
arrivo graduale; non vale mai, come risulta chiaramente in questo caso, la gradualità della legge. I divorziati risposati non potrebbero mai capire per gradi
la verità dell’indissolubilità perché l’hanno messa in discussione e l’hanno
spezzata in partenza. Né tanto meno vale la gradualità per vedere l’amore di
due partner come un bene in sé, amore folle che arriva fino al sacrificio di
sé, amore che giustificherebbe così l’unione, e pian piano ci permetterebbe di maturare
giudizi più misericordiosi verso di loro. Questa è una gradualità nel peccato,
che è sempre peccato.
In che senso però, a livello educativo e
pastorale, si deve essere pazienti e vedere una legge della gradualità? Solo in
chi vuole accostarsi al matrimonio e vuole capire la bellezza dell’unione
sponsale indissolubile, magari uscendo da una condizione di peccato oggettivo
qual è la convivenza, è individuabile una legge della gradualità. Per gli
omosessuali la gradualità consiste nell’accompagnarli pian piano, nel rispetto
delle persone, a capire che la condizione di vita scelta è contro natura, e a
farli uscire da quella condizione, cominciando ad astenersi dagli atti
disordinati e con la preghiera capire le cose più grandi dello spirito.
Si vede chiaramente che il principio della
gradualità non può “servire” a vedere un bene in una convivenza o un in
matrimonio civile dopo il divorzio come tali, procurando magari, con un cammino
penitenziale, un accostamento poi alla Comunione. La gradualità non può essere
manipolata per avere uno sguardo misericordioso su chi vive in situazioni non
conformi alla legge di Dio.
Il principio della gradualità, pertanto, non
è per se stesso la soluzione ai problemi di chi vive in situazioni matrimoniali
difficili o disordinate, ma richiede una spiegazione morale giusta, altrimenti
degenera in un grande equivoco. Il punto chiave dell’equivoco sta qui: si vuole
utilizzare, come appare dal Sinodo, un principio morale che è un aiuto a
diventare santi, passo dopo passo, data la difficoltà che noi poveri peccatori
possiamo incontrare, per vedere invece il bene in una situazione
intrinsecamente disordinata. Il bene o qualche elemento di bontà, che
certamente esiste (non per sé ma in relazione al bene integro), se non è
redento da ogni compromesso con il peccato e con il disordine morale non è un
bene ma ancora un male. Il bene o è integro o non è bene, ma ancora un male,
cioè l’assenza di un bene che dovrebbe esserci. Il bene o è tutto bene e
interamente bene o è un male. L’errore della linea Kasper-Forte parte da un approccio storicistico alla Rivelazione e alla grazia, e finisce nel
rendere bene un bene non integro, dunque ancora un male, un peccato.
Con il rischio di giustificare con il fine (amore, fedeltà, aiuto
reciproco) i mezzi, che sono inquinati (convivenza o divorzio).
Intanto però è da notare con interesse uno scherzo
della Provvidenza: mentre fino a qualche anno fa i critici di Kasper, di Forte,
e dei vari Baldisseri di turno, erano soltanto dei “conservatori con delle
fisime”, oggi invece tali personaggi sono noti e svelati al pubblico, a tutti i
fedeli. Tutti ormai sanno perché la linea dei riformatori è in odore di eresia.
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