Avrei voluto
iniziare questo post andando direttamente al sodo. Tuttavia, a giudicare da
alcune reazioni giuntemi per diverse vie alle considerazioni fatte
sull’intenzione di “aggiornare il linguaggio”, non posso esimermi dal fare un
piccolo cappello introduttivo. Non si può non notare come in effetti sia
attuale e reale il pericolo paventato da più parti nei giorni scorsi, ossiaquello di ritrovarsi un sinodo “reale” diverso da quello “virtuale”, ossia dei
media. Un esempio, è proprio il comunicato informativo che abbiamo cominciato a
discutere ieri mattina e che speriamo di concludere ora.
Per comprendere
meglio quanto sto cercando di esprimere, sarà bene anzitutto sapere che vi è
stato nel pomeriggio di martedì, presumibilmente durante la terza congregazione
generale, un botta e risposta deciso tra il Card. Muller, prefetto della
Congregazione della Fede, e Mons. Bruno Forte, segretario generale del Sinodo.
Questa notizia è stata passata sotto silenzio dalla maggioranza delle testate
giornalistiche, le quali ovviamente hanno ripetuto quanto letto nel comunicato
vaticano, il quale a sua volta riporta come "istanza del sinodo" quanto affermato
dal Segretario Generale, in opposizione al prefetto della Congregazione della
Dottrina della Fede, come risulterebbe dalla notizia qui pubblicata.
Ma torniamo a
vedere cosa il comunicato vaticano dice in realtà, messaggio che, ricordiamo, è
stato ripreso e rilanciato ampliamente da quasi tutte le testate giornalistiche
e telegiornali (qui).
Mi limito a
commentare due frasi, quelle che ai media sembrano essere piaciute di più, anche
se ci sarebbe da dire moltissimo, per esempio sull’uso capzioso che si fa del
concetto di “misericordia”, ma questo è stato detto da altri e molto meglio di
quanto possa fare io.
Scrive il
comunicato:
è stato sottolineato come
anche situazioni imperfette debbano essere considerate con rispetto: ad
esempio, unioni di fatto in cui si conviva con fedeltà ed amore, presentano
elementi di santificazione e di verità.
In pratica qui
si pretende di applicare alle famiglie il concetto di gradualità nella
perfezione. Tale concetto è stato introdotto dal Concilio Vaticano II nella
Costituzione dogmatica Lumen Gentium,
in ambito ecclesiologico, per spiegare la presenza di elementi di
santificazione nelle chiese e nelle comunità ecclesiali non cattoliche. Ma
mentre un tale discorso è applicabile alle chiese o comunità ecclesiali, esso è totalmente fuorviante
se applicato alle persone, perché parte da premesse diverse nei due casi e, nel
secondo dei due, le premesse sono sbagliate e contrarie alla verità, detto in
una parola oggi andata fuori moda: eretiche. Mi accingo a dare ragione di tale
affermazione che ai più potrebbe sembrare temeraria e per farlo mi servirò di
autorevoli documenti della Chiesa, che non possono essere messi in discussione.
Scrive il Concilio di Trento:
In questi anni è stata divulgata con
grave danno per molte anime e per l’unità della Chiesa, una dottrina erronea
sulla giustificazione. Perciò questo sacrosanto Concilio Tridentino ecumenico e
generale, riunito legittimamente nello Spirito santo, a lode e gloria di Dio
onnipotente, per la tranquillità della Chiesa e per la salvezza delle anime,
[…] intende esporre a tutti i fedeli cristiani la vera e sana dottrina sulla
giustificazione che Gesù Cristo, sole di giustizia, autore e perfezionatore
della nostra fede (Cf. Eb 12,2), ha insegnato che gli apostoli hanno trasmesso
e che la Chiesa cattolica, sotto l’ispirazione dello Spirito santo, ha sempre
ritenuto. E proibisce assolutamente che,
d’ora innanzi, qualcuno osi credere, predicare e insegnare diversamente da
quello che col presente decreto si stabilisce e si dichiara.
Questa è una
traduzione (trovata su internet) dell’originale latino del proemio , ma tutti ne possono
apprezzare la chiarezza e il tono autorevole che non ammette discussioni.
Ora sarebbe
interessante leggere tutto, ma sarebbe quantomeno lungo e per alcuni forse
ostico, per questo mi permetto fare una breve sintesi della dottrina di sempre,
espressione della Fede cattolica di cui il Concilio di Trento non è stato che
una manifestazione in circa 2000 anni di storia. Per chi fosse interessato
tuttavia ad approfondire, qui si può scaricare una traduzione italiana dei
testi del Concilio di Trento, dei quali ho messo una piccola selezione alla
fine di questo post.
Premessa: cos’è la Grazia
santificante (che rende “santa” un’anima).
(Cf. Catechismo
della Chiesa Cattolica nn. 1861, 1863, 1999-2001)
La dottrina
cattolica dice che quel che rende “santa” un’anima è la Grazia di Dio,
meritataci da Cristo e che nessuno può “pretendere” in quanto puro e libero
regalo di Dio. La Grazia è un dono gratuito che ciascuno deve accogliere,
conservare e far fruttificare in sé. Dio la infonde nell’anima con il battesimo
e si oppone direttamente al peccato: cancella il peccato originale e rimane
nell’anima come una “vita soprannaturale” dell’anima stessa, in effetti, la
Grazia è la vita divina che Dio crea al di fuori di sé e che dona a un’anima
“deificandola”, facendola vivere della sua stessa vita. È “soprannaturale” in
senso strettissimo, poiché supera la natura assolutamente: se Dio non la
infondesse nell’anima nessuna creatura potrebbe mai averla naturalmente,
semplicemente perché in natura non esiste. La Grazia santificante, tuttavia,
pur essendo “stabile” non è “permanente”, perché un’anima può perderla e
annichilirla con un peccato grave. Tuttavia attraverso il sacramento della
penitenza può riacquistarla e così “ritornare in grazia”. In effetti, i
sacramenti, sono proprio i mezzi ordinari attraverso cui Dio infonde la Grazia
nelle anime. Il Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica che «i
Sacramenti sono segni sensibili ed efficaci della grazia, istituiti da Cristo e
affidati alla Chiesa, attraverso i quali ci viene elargita la vita divina»
(n.224).
Conclusione e analisi.
Ora forti di
queste premesse, alla luce della Fede della Chiesa, possiamo ritornare alla
frase del comunicato che intendiamo analizzare:
è stato sottolineato come
anche situazioni imperfette debbano essere considerate con rispetto: ad
esempio, unioni di fatto in cui si conviva con fedeltà ed amore, presentano
elementi di santificazione e di verità
Ora, a sostegno
di tale affermazione, come si è detto si cerca di adattare il discorso di
gradualità nella perfezione con cui si spiega la presenza di “elementi di
santificazione” in altre chiese e comunità ecclesiali. Come già detto, il
paragone non regge perché parte da premesse diverse. Infatti, tra gli elementi di
santificazione presenti veritativamente in altre chiese e comunità ecclesiali ci sono soprattutto i sacramenti: oggettivamente presenti tutti nelle chiese dell’Ortodossia e
oggettivamente presenti alcuni (battesimo e matrimonio) nelle comunità
ecclesiali figlie ad ogni titolo della riforma luterana.
Per quanto
riguarda invece le persone o le famiglie, l’uso del termine “elementi di
santificazione” è improprio, perché di santificazione in tale contesto si può
parlare solo relativamente alla Grazia santificante. Affermare che, nonostante
la fedeltà e l’amore umano, in una situazione oggettiva di concubinaggio NON VI
SIA la presenza della Grazia santificante, non è mancare di rispetto ad una
coppia o a coloro che la compongono, ma soltanto esprimere un dato di fatto
incontrovertibile. È come dire che il mare è pieno d’acqua, o meglio ancora,
dire ad un uomo che non ha le ali dunque non può volare: sarebbe forse una
mancanza di rispetto? Si tratta di riconoscere un dato di fatto ed affermare il
contrario equivarrebbe a dire qualcosa di contrario alla realtà oggettiva e alla verità
rivelata, oltre che a negare la dottrina che la Chiesa ha sempre creduto e
insegnato; oppure, ancora peggio, equivale a “naturalizzare” la Grazia
equiparandola all’amore umano e alla fedeltà, negandone in pratica il carattere
soprannaturale e facendola “assorbire” e "procedere" dalla natura. Questo è l’errore di
Rahner con i suoi “cristiani anonimi” e, ancor prima di lui, l’eresia di
Pelagio e dei suoi seguaci ed emuli di ogni tempo.
A quanto sembra lo stesso errore possiamo riscontrarlo in Kasper & comp., infatti, essi considerano elemento di santificazione l'amore umano. Affermano che "dove c'è l'amore c'è la grazia" e pertanto il peccato del divorzio è redento dall'amore e non dalla grazia: ma questo, se è vero come è vero che la grazia è soprannaturale e in alcuna maniera può provenire da ciò che è umano, non altro che l'ennesima forma di pelagianismo e naturalismo.
Il sacramento di coloro che sono in
cammino.
Come detto vi
sarebbe moltissimo ancora di dire, ma per non stuccare eccessivamente la
pazienza dei lettori e per riuscire a finire questo post mi limito a commentare
quest’altra ormai famosa affermazione rimbalzata sui media di mezzo mondo.
Quanto all’accostamento all’Eucaristia da
parte dei divorziati risposati, è stato ribadito che tale sacramento non è il sacramento dei perfetti, ma di coloro che sono
in cammino.
Sembra che
proprio su questa affermazione si siano scontrati Mons. Forte e il Card.
Muller.
Io mi limiterò a
lasciar parlare la Chiesa, ancora una volta attraverso il Concilio di Trento
(chiamatemi pure sentimentale) che è stato particolarmente chiaro proprio
perché in quegli anni sorgevano errori che mettevano in pericolo l’integrità
della Fede, errori che, a quanto sembra, tornano sempre. Ma chi volesse
approfondire può andare a vedere anche il Catechismo della Chiesa Cattolica che offre
una panoramica completa (nn. 1322-1419).
Scrive il
Concilio nella Sessione XIII dedicata interamente proprio al Santissimo
Sacramento dell’Eucaristia:
La santissima Eucaristia ha questo di
comune con gli altri sacramenti: che è simbolo di una cosa sacra e forma
visibile della grazia invisibile.
Tuttavia in essa vi è questo di
eccellente e di singolare: che gli altri
sacramenti hanno il potere di santificare solo quando uno li riceve, mentre
nell’Eucaristia vi è l’autore della santità già prima dell’uso. (Capitolo
III)
Non vi è, dunque, alcun dubbio che tutti
i fedeli cristiani secondo l’uso sempre ritenuto nella Chiesa cattolica,
debbano rendere a questo santissimo sacramento nella loro venerazione il culto
di latria, dovuto al vero Dio.
Non è, infatti, meno degno
di adorazione, per il fatto che sia stato istituito da Cristo Signore per
essere ricevuto. Crediamo,
infatti, che è presente in esso lo stesso Dio, di cui l’eterno Padre,
introducendolo nel mondo, dice: E lo adorino tutti i suoi angeli (Eb 1, 6); che
i magi, prostrandosi, adorarono (Cfr. Mt 2, 11), che la scrittura attesta
essere stato adorato in Galilea dagli apostoli (Cfr. Mt 28, 17; Lc 24, 52).
(Capitolo V)
Se non è lecito ad alcuno partecipare a
qualsiasi sacra funzione, se non santamente, certo, quanto più il cristiano
percepisce la santità e la divinità di questo celeste sacramento, tanto più
diligentemente deve guardarsi dall’avvicinarsi a riceverlo senza una grande
riverenza e santità, specie quando leggiamo presso l’apostolo quelle parole,
piene di timore: Chi mangia e beve
indegnamente, mangia e beve il proprio giudizio, non distinguendo il corpo del
Signore. […]
Chi, quindi, intende comunicarsi, deve
richiamare alla memoria il suo precetto: L’uomo esamini se stesso (1Cor 11,
28). E la consuetudine della Chiesa dichiara che quell’esame è necessario così
che nessuno, consapevole di peccato
mortale, per quanto possa credere di esser contrito, debba accostarsi alla
santa eucaristia senza aver premesso la confessione sacramentale.
Il santo Sinodo stabilisce
che questa norma si debba sempre osservare da tutti i cristiani
[…] (Capitolo VII)
Alla luce di
quanto sopra, è quanto meno riduttivo e fuorviante affermare che l’Eucaristia
non è il sacramento dei perfetti, perché si sta parlando del
tesoro più prezioso che l’uomo abbia sulla terra, dono di misericordia e amore,
Sacramento santo e divino. l’Eucaristia non è e mai potrà essere considerata un
mezzo, perché è Gesù in corpo, anima, sangue e divinità: fonte e culmine di
tutta la vita cristiana (LG 11).
Interessante
concludere questo post con un ultima citazione del Concilio di Trento a
riguardo di coloro che fanno uso di questo sacramento e, soprattutto, in cui
possiamo vedere lo zelo di amore e carità squisitamente e realmente pastorale che
animava i Padri conciliari.
Quanto al retto e sapiente uso, i nostri
padri distinsero tre modi di ricevere questo santo sacramento. Dissero,
infatti, che alcuni lo ricevono solo sacramentalmente, come i peccatori. Altri
solo spiritualmente, quelli, cioè che desiderando di mangiare quel pane
celeste, loro proposto, con fede viva, che agisce per mezzo dell’amore (Gal 5,
6), ne sentono il frutto e l’utilità. Gli altri lo ricevono sacramentalmente e
spiritualmente insieme, e sono quelli che si esaminano e si preparano talmente
prima, da avvicinarsi a questa divina mensa vestiti della veste nuziale (Cfr.
Mt 22. 11-14).
Finalmente questo santo Sinodo con
affetto paterno esorta, prega e supplica, per la misericordia del nostro Dio
(Lc 1, 78), che tutti e singoli i cristiani convengano una buona volta e siano
concordi in questo segno di unità, in questo legame di amore, in questo simbolo
di concordia; e che, memori di tanta maestà e di così meraviglioso amore di Gesù
Cristo, nostro signore, che sacrificò la sua vita diletta come prezzo della
nostra salvezza, e ci diede la sua carne da mangiare (Cfr. Gv 6, 48-59),
credano e venerino questi sacri misteri del suo corpo e del suo sangue con tale
costanza e fermezza di fede, con tale devozione dell’anima, con tale pietà ed
ossequio, da poter ricevere frequentemente quel pane supersostanziale (Cfr. Mt
6, 11), ed esso sia davvero per essi vita dell’anima e perpetua sanità della
mente, cosicché, rafforzati dal suo vigore, da questo triste pellegrinaggio
possano giungere alla patria celeste, dove potranno mangiare, senza alcun velo,
quello stesso pane degli angeli (Cfr. Sal 77, 25), che ora mangiano sotto sacre
specie. (Capitolo VIII)
Mi scusi. Posso sapere lei chi è e a quale titolo scrive?
RispondiEliminaSono anzitutto un battezzato nella Chiesa cattolica e scrivo perché il patrimonio della Fede non è proprietà privata di nessuno e perché finché abbiamo voce è bene farla sentire soprattutto in questi tempi confusi che stiamo vivendo. Scrivo perché io per primo ho bisogno di chiarezza.
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