Viviamo tempi di grande confusione in cui le autorità che dovrebbero chiarire e mettere ordine spesso agiscono in modo enigmatico.
Per essere più chiari, la verità è che ogni buon cattolico ha cominciato a
porsi interrogativi su interrogativi a partire dalla sera del 13 marzo 2013,
quando il Sommo Pontefice si affacciò dalla loggia vaticana senza insegne
pontificali se non la talare bianca, salutando con il tutt’altro che solenne
“buonasera”, parlando di se come del Vescovo di Roma e chiedendo la benedizione
alla folla astante. Dopo quella sera gli interrogativi si sono fatti sempre più
numerosi ed insistenti, giorno dopo giorno.
Molti, per amore al Papa e alla Chiesa, hanno tentato i salti mortali per
difendere e giustificare quel che appare indifendibile; molti altri hanno
praticato la sospensione del giudizio; moltissimi non vogliono più leggere
nulla a riguardo del Papa per non restare turbati. Molti altri riversano la
responsabilità di tale confusione sulla stampa: è la stampa, si dice, che fa
dire al Papa cose che in realtà non dice, oppure che estrapola parole da
contesti più ampi stravolgendone il significato. Come il caso delle due
interviste concesse a Eugenio Scalfari, fondatore di Repubblica, anticlericale,
figlio di generazioni di massoni [qui],
interviste nelle quali il Papa avrebbe detto, tra le altre cose che “non crede
in un Dio cattolico”, che “il proselitismo è una solenne sciocchezza” e che
“ciascuno di noi ha una sua visione del Bene ma anche del Male noi dobbiamo
incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene”. Giustamente
affermazioni simili hanno scandalizzato moltissimi ma, si è detto, Scalfari non
ha registrato nulla, ha preso appunti e d’altronde lui stesso ha ammesso di
aver rielaborato molto, anche se sempre comunque in base a quel che il Papa
avrebbe detto.
Inoltre, dopo il Sinodo recentemente concluso, i dubbi si sono acuiti per
la sensazione molto più che concreta che “dall’alto” si volesse dirigere il
tutto in una direzione preordinata, almeno per stare all’opinione Edward Pentin
[qui], il giornalista che ha
sbugiardato il Card. Kasper relativamente all’intervista da lui rilasciata e
poi negata in riferimento ai Vescovi africani. Oppure, ancora più chiaramente,
a partire dalle affermazioni dello stesso Card. Kasper, che ha candidamente e
pubblicamente sostenuto che chi si opponeva alla sua posizione, di fatto si
opponeva al Papa [qui].
Questo, en passant, mi ricorda un
altro doloroso caso di questi tempi, quello dei francescani dell’Immacolata, dove
a sei religiosi sacerdoti che hanno domandato la dispensa e che sono stati
accolti da un Vescovo cattolico, è stata comminata una sospensione a divinis
con l’accusa di essere scismatici, perché sarebbero contro il commissariamento,
dunque sono contro il Papa [qui]:
non bisogna aver studiato la logica per comprendere la grossolana falsità di un
tale ragionamento e la pericolosità di un sistema in cui i “colonnelli” si
fanno forti, nell’ingiustizia, dell’assolutismo del potere centrale, volgendo
ogni timida e legittima opposizione al loro fare autoritario o “sopra le righe”
in un’offesa di lesa maestà delegata. Smetto qui perché sennò si fa troppo
lunga.
Come dicevamo, dinanzi a tanta confusione le reazioni tra i cattolici sono
molteplici: c’è chi si chiude occhi, orecchie, naso e bocca e chi invece ha il
coraggio di porsi e di porre delle domande, anche quando queste domande sono
scomode, com’è il caso di Antonio Socci nel suo libro “Non è Francesco”. Devo
dire che ho sommamente apprezzato la citazione “battistiana” del titolo. Non so
se sia intenzionale, ma credo di sì perché in effetti è di grande eloquenza,
oltre ad essere di una rara delicatezza. In effetti, chi non si immedesima nel
cantore di “Non è Francesca”, famosa canzone di Battisti [qui]? Un amico viene a
dirgli di aver visto la sua amata Francesca insieme ad un altro e lui risponde
che no, non è possibile che è lei, sarà un’altra. È la storia dell’amante
(colui che ama) che non vuole vedere il male nell’amato, ma che cerca solo il
bene e che, anche dinanzi all’evidenza del tradimento, cerca ragioni per
continuare ad amare, per continuare a credere. Questa mi sembra, peraltro, anche
la chiave di lettura del libro di Socci, scritto con amore e per amore del
Santo Padre e della Chiesa: con delicatezza, ma anche con precisione chirurgica,
mette insieme i numerosi pezzi di questo anno e mezzo di pontificato, ponendo
delle questioni legittime, che nello smarrimento sono in molti a porsi. Per
questa sua ricerca Socci è stato condannato alla damnatio memoriæ. Le librerie paoline ufficialmente si son rifiutate
di vendere il libro, loro che non si fanno alcun problema etico a vendere libri
di gente tipo Küng, Mancuso, De Mello. Inoltre, molti altri colleghi “allineati
al regime”, o a quello che sembra configurarsi come tale, lo hanno screditato e
sbeffeggiato, senza averne letta neanche una riga.
Questo mi fa venire in mente quel che dice Gesù nel Vangelo al soldato che
l’aveva schiaffeggiato: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male; ma se ho
parlato bene, perché mi percuoti?» (Gv 18, 23).
Tra le altre notizie sconcertanti di questi giorni, una che ha destato particolare
preoccupazione è che la Libreria Editrice Vaticana ha pubblicato un libro [qui] con
le interviste e conversazioni con giornalisti avute da Papa Francesco in questo
anno e mezzo di pontificato, in cui sarebbero comprese quelle di Eugenio
Scalfari.
Se fossero state pubblicate così com’erano sarebbe sconvolgente, perché si
tratterebbe di una semi-ufficializzazione di parole che di fatto sono contro la
Fede cattolica. Non ho letto il libro e spero sinceramente che qualcuno abbia
provveduto a correggere quegli strafalcioni.
Dunque, in questi tempi confusi, per fare chiarezza anche questo blog vuole
dare il proprio piccolo contributo ponendo una domanda scomoda ma non
irriverente, nello spirito del libro di Antonio Socci. Una domanda che in
passato si sono posti in molti cattolici, studiosi, Dottori e Santi. Per
questo, lasceremo che a rispondere sia un Santo e Dottore della Chiesa, san
Roberto Bellarmino, peraltro confratello gesuita del Sommo Pontefice regnante. La questione è: «se
un Papa diventa eretico». Il santo Dottore risponde a questa questione nel
suo Tractatus de potestate Summi Pontifici
in rebus temporalibus. Noi abbiamo consultato l’edizione del 1611 disponibile
online [qui]
traducendone alcuni significativi passi che vi proponiamo in corsivo.
«Se il Pontefice Massimo diventasse eretico, e tentasse di distruggere la
Chiesa allontanandola dalla fede cattolica, può essere deposto o, certamente,
dichiarato deposto, come si evince dai Canoni “Se il Papa”, dist. 40. Questo
non lo nega né Bellarmino, né alcun cattolico. Non fa meraviglia, perciò, che i
Re possano esser deposti a causa dell’eresia, benché non abbiano autorità
temporali superiori, se anche il Papa, per una simile causa, può esser deposto,
anche se sulla terra non c’è alcuna autorità, né temporale, né spirituale,
superiore alla sua. È vero che “al Concilio non è lecito giudicare, punire, o
deporre il Papa che tenta di turbare e distruggere la Chiesa di Dio; ma solo è
lecito resistergli non facendo quello che comanda, e ponendo ostacolo affinché
non sia eseguita la sua volontà” (Bellarmino, lib. 2 De
Pontif., cap. 29). Questo vale solo
se il Papa volesse turbare e distrugger la Chiesa con la sua vita e i suoi
costumi, ma fa eccezione il caso dell’eresia» (p. 212).
«Ma se il Papa non ha alcun superiore sulla terra, con quale diritto può
esser deposto da un Concilio, o dalla Chiesa, a causa dell’eresia? Rispondo
subito: mentre gli uomini sono espulsi
dalla Chiesa tramite la scomunica a causa di altri crimini, gli eretici escono
dalla Chiesa per sé, e se ne allontanano perché, in qualche modo, si
scomunicano da se stessi. Come osservava san Girolamo, spiegando quelle
parole dell’Apostolo a Tito, cap. 3: l’eretico è condannato dal suo proprio
giudizio. Così che se il Pontefice - la qual cosa ritengo che non possa
accadere -, diventasse eretico, infedele o apostata, non dovrebbe essere
deposto, ma dichiarato deposto da un concilio» (p. 213).
«Il potere delle chiavi di Pietro
non si estende fino al punto che il Sommo Pontefice possa dichiarare “non
peccato” quello che è peccato, oppure “peccato” quello che non è peccato. Ciò
sarebbe, infatti, chiamare male il bene, e bene il male, la qualcosa è, sempre
è stata, e sarà lontanissima da colui che il Capo della Chiesa, colonna e
fondamento della verità» (p. 214).
[Ndt Ma se un papa rinuncia a queste
qualifiche di maestro di Verità, e opta per una dottrina fatta di dubbi,
incertezze ed errori, sia auto esclude dal munus petrino che gli compete, e deve
esser dichiarato deposto da un concilio].
«Se accadesse che il Pontefice ordinasse a qualche uomo particolare
qualcosa che fosse contro la legge di Dio – ossia, non con un insegnamento
universale ex cathedra -, allora vale la nota dottrina di san Pietro: “Bisogna
obbedire a Dio, piuttosto che agli uomini” (At 1)» (p. 255).
E così concludiamo questo post, lasciando ciascuno alla propria riflessione e preghiera.
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